MILENA canonero,4 oscar e un orso

 

                                                                                                                           20 FEBBRAIO 2017

 

  • ARANCIA MECCANICA .  STANLEY KUBRICK. 1971
  •  BARRY LYNDON  . STANLEY KUBRICK . 1975
  • COTTON CLUB . FRANCIS FORD COPPOLA . 1984
  • DICK TRACY . WARREN BEATTY . 1990
  • IL PADRINO PARTE III . FRANCIS FORD COPPOLA . 1990
  • IL TRENO PER IL DAIJERLIING . WES ANDERSON . 2007
  • GRAN BUDAPEST HOTEL . WES ANDERSON . 2014
  • LA MIA AFRICA . SYDNEY POLLACK . 1985
  • SHINING . STANLEY KUBRICK . 1980
  • MARIA ANTONIETTA . SOFIA COPPOLA  .  2006
  • MOMENTI DI GLORIA  . HUGH  HUDSON  . 1981

 

L’Orso alla carriera a Milena Canonero non sorprende perchè la bravura della costumista italiana è già stata consacrata con ben 4 Oscar, ma ci fa un immenso piacere perché non è brava, è bravissima. Amo il cinema; un bel film è il risultato di un lavoro corale dove ogni voce è importante, non esiste un buon film senza un bel soggetto e un’ottima sceneggiatura sulla quale un regista, anche se bravissimo, possa tirare fuori la storia che ci affascinerà. Storia che viene raccontata a chi guarda attraverso lo sguardo e la luce del direttore della fotografia, importantissimo, naturalmente, come la scenografia, i luoghi esterni e interni che sono la “base “ visiva sulla quale appoggia la storia e il contesto sociale e scenico dell’epoca, come è importante la colonna sonora che accompagna le emozioni, e il fonico, per i suoni e i rumori che devono essere perfetti, credibili, non troppo sopra o sotto le voci, ed eccoci: i costumi. Chi non associa subito ad Arancia Meccanica, uno dei capolavori di Stanley Kubrick, l’immagine di quelle camicie bianche senza collo, pantaloni bianchi con parapalle, infilati negli scarponi militari come divise, e quell’occhio con le ciglia lunghissime e inquietanti sormontato da una bombetta ? Ed è proprio Arancia Meccanica che segna l’inizio della straordinaria carriera di Milena Canonero, con una partenza folgorante. Non c’è modo migliore di raccontare il suo straordinario lavoro se non attraverso qualche immagine dei suoi film più famosi, ma riporto qui la bella intervista di Arianna Finos, inviata a Berlino della Repubblica, perché Milena, nonostante sia una delle figure di spicco del cinema mondiale, preserva l’umanità e la modestia tipiche dei veri artisti ed è un piacere leggerla.

MGP.

 

Milena Canonero, la costumista insignita dell’Orso d’oro alla Berlinale rende omaggio ai suoi due grandi maestri; Stanley Kubrick e Piero Tosi. “Stanley mi ha insegnato tutto quello che so sul cinema, Piero mi ha spedito da Kubrick al posto suo, ma è lui il più grande e dovrebbe essere qui a ricevere il premio, che io prendo anche a nome suo”. Statuaria in un cappello di pelliccia, cappotto di pelle su dolcevita nera, la voce emozionata, la schiva artista torinese all’incontro all’Hyatt Hotel apre il baule dei ricordi di una carriera lunga 25 film, blasonata da quattro Oscar (il primo nel ’76 per Barry Lyndon, l’ultimo nel 2015 per Grand Budapest Hotel) e nove candidature. Milena ha studiato storia dell’arte e del costume a Genova, trasferendosi poi a Londra: ora, dopo tanti anni di carriera, l’ambizione ultima di debuttare alla regia (dopo un corto pubblicitario molto bello girato a Roma) con un film sul suo maestro e amico Piero Tosi, il grande costumista oggi ottantanovenne.

Al Grand Hotel con Wes Anderson. Milena Canonero è accolta in sala da un applauso lunghissimo. La prima domanda è su Grand Budapest Hotel, presentato in apertura alla Berlinale che poi gli è valso l’ultimo Oscar. Dice del regista americano: “Ogni volta si parte dalla sceneggiatura, Wes è molto attento ai dettagli ma, come Stanley e come Coppola, ti dà poi la possibilità di andare oltre. Gli piace molto fare ricerca, e ci consegna anche dei disegni per dare l’idea di ciò che sente, che pensa. È molto divertente e tiene alla sua troupe come a un gruppo di famiglia, un’atmosfera calda, i suoi set mi ricordano quelli di Stanley: Kubrick era uno che ti faceva sentire parte della sua famiglia. Wes ama le citazioni di altri film e lavora come un pittore naif, con un importante sottotesto”.
Come nasce un costume? Canonero ama le possibilità che ti regala Photoshop: “Ho iniziato a usarlo per un’opera . Quando lavoro a un personaggio parto dalla testa, me lo ha insegnato Stanley, quella è la cosa più importante. E poi si lavora sulla forma del viso, sul corpo dell’interprete. Ma non è così per ogni film; ci sono volte in cui mi sono ispirata a dipinti, come per Barry Lyndon, ci sono registi che vogliono seguire passo per passo il processo e altri che ti lasciano libero. È interessante lavorare in ogni modo. Kubrick e Coppola erano molto chiari nello spiegarti cosa è il film per loro, se avevi colto il concetto poi ti lasciavano andare in libertà. Per me la cosa importante è non essere solo la costumista ma qualcuno che partecipa attivamente al processo creativo. Stanley chiedeva attenzione, gli piaceva che tu prendessi nota ma poi ti lasciava libera. Lui è il mio grande maestro che mi ha insegnato tutto e non mi ha mai messo in una scatola, a volte, poiché parlavo bene francese, mi faceva anche controllare il doppiaggio del film. Era un uomo straordinario, unico nel panorama cinematografico mondiale”. Non è vero che la costumista usa solo suoi disegni: mi piace farlo, ma dipende dal film, si possono anche comprare o affittare costumi, trovarli in stock, l’importante è la scelta personale e la loro armonia rispetto al film. E devi considerare anche che devi interagire con gli attori, che non sono oggetti, devi confrontarti con la loro personalità. No, non ci sono regole stabilite”.

Dal Padrino a Dick Tracy. “Coppola è un regista che dà poche indicazioni e poi ti lascia andare. Il padrino l’ho immaginato come un’opera lirica”. Per Dick Tracy “alla base c’è un fumetto, l’idea era di usare solo i cinque colori primari che sono quelli usati nei primi comics, ma poi li ho allargati a dieci e Warren Beatty mi ha dato fiducia. Li abbiamo resi più omogenei lavorando fianco a fianco con Vittorio Storaro. Sono molto fiera di quel lavoro e sinceramente penso che avrei meritato l’Oscar per questo film più che per altri. Soprattutto per lo splendido lavoro di squadra”.

Fortuna e ossessione. Descrive così la sua carriera: “Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi registi, sono appassionata del mio lavoro, attenta a ogni dettaglio, osservo la realtà con attenzione, non dimentico niente. Anche se poi quando guardo un film mi pare che niente è perfetto, c’è sempre qualcosa da aggiustare. Sono grata a tutti i grandi con cui ho lavorato. Ma Stanley è unico, il più grande di tutti”. A chi le chiede se abbia rimpianti o rimorsi dice “rimpianti sì, nel lavoro e nella vita, come capita a tutti. Rimorsi sono legati al sentirsi colpevole di qualcosa e allora no. Ci sono momenti nella vita in cui cerchi di saltare sul treno in corsa, a volte ci riesci, a volte va troppo veloce e se ne va. Ma io ci ho sempre provato”.

Il maestro italiano. “Tu sei ciò che sei, la tua cultura e la tua famiglia fanno parte del bagaglio. Ma se non fossi andata in Inghilterra e non avessi incontrato Kubrick la mia carriera non sarebbe iniziata. E se non avessi incontrato gli altri, Parker, Malle, Coppola, Polanski, non avrei avuto la possibilità di evolvere. Se non avessi avuto la chance che mi ha dato Stanley non sarei qui ora con voi, magari avrei sei figli, mi sarei suicidata… ma non voglio più parlare di questo, non sono brava con le risposte, mi perdo, perdonatemi”. L’ultimo pensiero è per i colleghi e il maestro italiano. “Questo premio è una grande opportunità. Viene spesso dato a registi o attori a fine carriera. E allora mi sento onorata io, costumista, di rappresentare la mia professione. E penso al mio maestro Piero Tosi, che ha lavorato con Visconti, Pasolini, De Sica, Fellini. È l’uomo che dovrebbe essere qui oggi e stasera. Il premio dovrebbe andare a lui, io lo rappresento. Io sono come tanti altri, ma fortunata. Lui invece è il grande maestro della nostra anima: fu lui che Kubrick cercò, ma Piero non poteva viaggiare e non parlava inglese. Ed è per questo che ora non è qui, anche se è lui il migliore

Arianna Finos