… SE DAVVERO VOLESSIMO …

18 DICEMBRE 2018

 

 

Condivido il discorso che tutti i media e i social del mondo hanno condiviso in questi giorni, quello fatto da Greta a nome di CLIMATE JUSTICE NOW alla Conferenza Mondiale sul Clima. Sono le parole più toccanti ascoltate fino ad ora su quello che non è un “ tema ” , ma l’urgenza del pianeta che ci ospita, che non è nostro, ma di tutti gli esseri viventi di oggi e di quelli che potrebbero essere di domani , se riusciremo a salvarlo. E DOBBIAMO.
E’ un dovere di tutti, è una necessità che non può più aspettare neanche un giorno. Ma lo dice meglio lei, meglio di chiunque lo abbia detto finora. Grazie Greta.

” Mi chiamo Greta Thunberg, ho 15 anni e vengo dalla Svezia. Parlo a nome di Climate Justice Now. Molte persone dicono che la Svezia è solo un piccolo paese e non importa quello che facciamo. Ma ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. E se alcuni bambini possono ottenere titoli di giornale in tutto il mondo solo non andando a scuola, allora immagina cosa potremmo fare tutti insieme se lo volessimo davvero.
Ma per farlo, dobbiamo parlare chiaramente, non importa quanto possa essere scomodo.
Parlate solo di una crescita economica eterna e verde perché avete troppa paura di essere impopolari. Parlate solo di andare avanti con le stesse cattive idee che ci hanno portato in questo casino, anche quando l’unica cosa sensata da fare è tirare il freno di emergenza. Non siete abbastanza maturi per dire le cose come stanno. E anche il fardello che state lasciando a noi bambini. Ma non mi interessa essere popolare. Mi interessano la giustizia climatica e il pianeta vivente.
La nostra civiltà viene sacrificata per l’opportunità di un numero molto ridotto di persone di continuare ad accumulare enormi somme di denaro. La nostra biosfera viene sacrificata in modo che i ricchi di paesi come il mio possano vivere nel lusso. Sono le sofferenze dei molti che pagano i lussi dei pochi.
Nel 2078 celebrerò il mio 75° compleanno. Se avrò figli, forse passeranno quella giornata con me. Forse mi chiederanno di voi. Forse chiederanno “perché non hai fatto nulla mentre c’era ancora tempo per agire”.
Dite di amare i vostri figli sopra ogni altra cosa, eppure state rubando il loro futuro davanti ai loro stessi occhi.
Finché non inizierete a concentrarvi su ciò che deve essere fatto piuttosto che su ciò che è politicamente possibile, non c’è speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come una crisi.
Dobbiamo mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo e dobbiamo concentrarci sull’equità. E se le soluzioni all’interno del sistema sono così impossibili da trovare, forse dovremmo cambiare il sistema stesso. Non siamo venuti qui per chiedere assistenza ai leader mondiali. Ci hanno ignorato in passato e ci ignoreranno di nuovo.
Abbiamo finito le scuse e stiamo finendo il tempo.
Siamo venuti qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no. Il vero potere appartiene alla gente.”

 

 

in mostra: ARTICO. ultima frontiera

31 GENNAIO 2018

 

  • Paolo Solari Bozzi© - Tiniteqilaaq, Groenlandia 2016
  • Ragnar Axelsson© - Nenets, Siberia, 2016
  • Paolo Solari Bozzi© - Sermilik Fjord, Groenlandia 2016
  • Ragnar Axelsson© - Thule, Mikide sull'Inglefield Fjord, Groenlandia, 1999
  • Paolo Solari Bozzi© - Ammassalik Island, Groenlandia, 2016
  • Carsten Egevang© - Scoresbysund, Groenlandia, 2012
  • Carsten Egevang© - Thule, Groenlandia3, 2013
  • Ragnar Axelsson© - Islanda, 1995
  • Carsten Egevang© - Thule, Groenlandia, 2014

 

 

LA DIFESA DI UNO DEGLI ULTIMI AMBIENTI NATURALI  non ancora sfruttati dall’uomo, il pericolo incombente del riscaldamento globale, la sensibilizzazione verso i temi della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, la dialettica tra natura e civiltà. Sono questi gli argomenti attorno a cui ruota la mostra ARTICO.ULTIMA FRONTIERA in programma dall’8 febbraio al 25 marzo 2018 alla Triennale di Milano. L’esposizione, curata da Denis Curti e Marina Aliverti, presenta circa 60 immagini, rigorosamente in bianco e nero e di grande formato, di tre maestri della fotografia di reportage: Ragnar Axelsson Carsten Egevang e Paolo Solari Bozzi. E’ un’indagine approfondita, attraverso tre angolazioni diverse, su un’ampia regione del Pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia e l’Islanda, e sulla vita della popolazione Inuit, 150.000 individui, costretti ad affrontare le difficoltà di un ambiente ostile.
“In queste immagini – afferma Denis Curti – l’imminenza del riscaldamento globale si fa urgenza, mentre si apre un confronto doloroso in cui l’uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall’immensa potenza della natura. Bellezza e avversità sono i concetti su cui si fonda questo progetto, con una mostra che intende riportare l’attenzione sui paesaggi naturali e le tematiche ambientali dei nostri giorni”. La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, a cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale: sono questi i punti su cui s’incentrano le esplorazioni dei tre fotografi.
Le popolazioni Inuit sono al centro della ricerca di Ragnar Axelsson che, fin dai primi anni Ottanta, ha viaggiato fino ai confini del mondo abitato per documentare e condividere le vite dei cacciatori nell’estremo nord della Groenlandia, degli agricoltori e dei pescatori della regione dell’Atlantico del nord e degli indigeni della Siberia e racconta di villaggi ormai scomparsi, di intere comunità ridotte a due soli anziani che resistono in una grande casa scaldando una sola stanza; racconta di mestieri che nessuno fa più e di uomini che lottano per la sopravvivenza quotidiana. Ma dalle foto di Axelsson emerge soprattutto l’umanità che ha incontrato sulle lunghe piste delle regioni artiche.
Carsten Egevang, partendo da una formazione accademica in biologia che lo ha portato dal 2002 al 2008 a vivere in Groenlandia e a studiare la fauna ovipara della regione artica, ha saputo documentare la natura selvaggia e la tradizionale vita delle popolazioni Inuit.
Paolo Solari Bozzi presenta un progetto inedito, frutto del suo viaggio, tra febbraio e aprile 2016, sulla costa orientale della Groenlandia, nel quale ha visitato i pochi villaggi, riportando la quotidianità di una popolazione che ha scelto di vivere in un ambiente difficile.
Accanto alle potenti immagini di una natura sofferente e affascinante, TRE DOCUMENTARI arricchiscono la narrazione delle regioni del Nord: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gamma; Chasing Ice, diretto dal fotografo e film-maker americano James Balog; The Last Ice Hunters, dei registi sloveni Jure Breceljnik e Rožle Bregar.
La terza componente di ARTICO. ULTIMA FRONTIERA  consiste in UNA GIORNATA DI SUMMIT SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO,CHE SI TERRA’ IN TRIENNALE IL 27 FEBBRAIO 2018 . Saranno presenti scienziati, professori, imprenditori e politici per riferire sulle tematiche ambientali viste da diverse angolazioni. Una delle rare occasioni di dibattito su questi temi così attuali.

ARTICO. ULTIMA FRONTIERA
Fotografie di Ragnar Axelsson / Carsten Egevang / Paolo Solari Bozzi
a cura di Denis Curti e Marina Aliverti
8 febbraio – 25 marzo 2018 Triennale di Milano Viale Alemagna 6 20121 Milano?T. +39 02 724341 www,triennale.org
Ingresso libero.

 

 

S.O.S dal PIANETA TERRA

 

20 NOVEMBRE 2017

 

 

Abbiamo bisogno di vedere altro ancora?
Che non c’ è più tempo da perdere è ormai chiaro anche per i più scettici. La terra chiama, è un grido disperato che dovrebbe già averci scosso parecchio tempo fa, e adesso è diventato assordante, tanto che perfino il presidente americano Trump, in un primo momento deciso a rompere il trattato di Kyoto, sembra essersi arreso all’evidenza dopo la devastazione di Harvey, e oltre 160 miliardi di dollari di danni. Se nulla poteva un minimo di responsabilità e di amore per il pianeta dove anche i suoi figli vivono, e le migliaia di vittime causate dai disastri ambientali, il salato conto in dollari presentato dagli ultimi accadimenti, incendi compresi, ha aperto la strada ai ripensamenti.
Purtroppo gli interessi economici hanno sempre avuto un peso determinante sulle decisioni, e perfino sulle iniziative da prendere, anche solo per incominciare a tamponare i problemi della crescita esponenziale dell’inquinamento del Pianeta, con le drammatiche conseguenze che oggi vediamo sempre più spesso.
E’ di questi giorni l’annuncio della nuova campagna di sensibilizzazione del WWF “ PLANET IS CALLING” .
«È necessaria una grande pressione pubblica sui governi e sulle autorità politiche, e il WWF si batte per realizzare concretamente l’Accordo di Parigi sul clima e l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, documenti sottoscritti da tutti i paesi del mondo in sede Nazioni Unite, e salvaguardare i sistemi naturali di tutto il mondo che costituiscono la base fondamentale del nostro sviluppo e del nostro benessere» ha dichiarato Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia. «Al fianco di questa opera di pressione tutti possiamo fare qualcosa ogni giorno, con azioni concrete, per ridurre il nostro impatto sulla natura. E già oggi sono tanti gli esempi di soluzioni adottate da comunità in tante parti del mondo che stanno facendo la differenza». Il Wwf ha anche realizzato l’album 2017, sette segnali, lanciati in diverse parti del Pianeta, che mostrano l’impressionante effetto del crescente cambiamento climatico e di altre nostre irresponsabili, deprecabili azioni.
L’arretramento delle banchise polari e lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione che con la conseguente crisi dell’habitat costringe un numero sempre più ampio di persone all’immigrazione di massa, mari e oceani invasi dalla plastica, incendi, degrado degli ambienti naturali e perdita continua di specie viventi. Una visione apocalittica? No, purtroppo questa è la realtà’, il momento di agire è già qui. ADESSO.

 

MariaGrazia Pase

WORLD OCEANS DAY

 

                                                                                                                               8 GIUGNO 2017

                                                                                                                           

 

Ci sono parole da aggiungere a queste immagini ? Si, tante. Perché a quanto pare non sono bastate quelle dette fino ad ora, e siamo arrivati a quello che vediamo. World Ocean Day dovrebbe essere World Ocean Every Day, perché di questo c’è bisogno, di una mobilitazione comune e totale di ognuno di noi, ogni giorno, anche e soprattutto nelle piccole cose quotidiane che piccole non sono, se pensiamo a quanti sacchetti e a quante bottiglie di plastica farebbero la differenza nel panorama desolante, mortificante, dello stato in cui l’incuria, l’ignoranza e l’ egoismo hanno ridotto una fonte di vita primaria per l’umanità e per tutto il pianeta. Non dimentichiamo che il 50 % dell’ossigeno arriva dagli oceani e che assorbono il 25% di CO2. Da anni la ricerca si sta occupando del problema del riciclo della plastica e si sono raggiunti risultati che sarebbero stati impensabili qualche decennio fa, quando il “Moplen” inneggiava alla modernità. Alla ricerca e alle associazioni che si sono via via costituite per la difesa di questo patrimonio inestimabile si sono aggiunte iniziative che vedono partnership come quella tra Adidas e Stella McCartney con Parley for the oceans, organizzazione che lavora per mettere fine alla distruzione della vita degli oceani, usando plastica riciclata per sneaker e abiti, come già tre anni fa Bionic Yarn, in collaborazione con Pharrell Williams per i jeans di G-Star. Le ultime stime parlano di più di 150 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica presenti nei mari con pesanti conseguenze su 600 specie marine, il 15% delle quali sono in via di estinzione. L’inquinamento dei mari non coinvolge “solo” le specie marine, ama anche l’uomo. Nei mari si riversano microplastiche e nanoplastiche che vengono ingerite da pesci e finiscono nella nostra catena alimentare. Un tragico autogol. In difesa dell’ambiente, la casa in cui vìviamo, si schierano anche molti nomi dello star system, come Leonardo Di Caprio, da molti anni paladino della causa e impegnato in prima persona con molte organizzazioni ambientaliste e con la sua  Leonardo DiCaprio Foundation promuove decine di cause. Facciamo che i Trump del mondo siano una minoranza sempre più isolata, e che la difesa della vita del nostro pianeta faccia parte del nostro quotidiano, e riusciremo a lasciare alle prossime generazioni della specie umana e animale, la Terra come dovrebbe essere: un paradiso.

MariaGrazia Pase

 

GHIACCIAI che scompaiono

 

                                                                                                                                 20 NOVEMBRE 2016

 

 

La bellezza del massiccio del Bernina. Anche qui gli effetti dell’innalzamento delle temperature hanno già eroso una grande parte del ghiacciaio Morteratsch. Monitorato da un drone messo a punto dai ricercatori delìUniversità di Milano Bicocca, ha subito in tre mesi una perdita di 5 metri in lunghezza e 6 metri di spessore sulla fronte.

Foto di Alec Pase

 

Se ne parla da anni, troppi, i ghiacciai si stanno riducendo e in alcuni casi stanno scomparendo ad una velocità preoccupante. Eppure l’atteggiamento del mondo assomiglia a quello della famosa favola della cicala, e, purtroppo, noi siamo le cicale. L’allarme lanciato anni fa dagli scienziati è stato finalmente ascoltato, e tutti ci auguriamo che non sia troppo tardi, ma lo scioglimento dei ghiacciai, le risorse auree dell’oro blu, nocciolo della preservazione dell’ecosistema, è un fatto conclamato che ha raggiunto livelli di massima allerta. Che fare ? L’accordo di Kyoto, così faticosamente e tardivamente raggiunto, è già molto, rispetto a prima, ma per salvare il pianeta altri passi dovranno essere fatti, e velocemente, nella direzione delle energie pulite, certamente ad ogni livello e in tutti i Paesi, ma anche e soprattutto, nella presa di coscienza e la sua diretta, fattiva conseguenza, della popolazione mondiale per il rispetto di tutte quelle norme, molte delle quali non scritte, che, se messe in pratica da ogni abitante del globo, risolleverebbero le stime di sopravvivenza dell’ecosistema, che potrebbe tornare a garantire un futuro decente ai nostri posteri. Non si tratta di pessimismo, ormai i dati sono alla portata di tutti, e gli svarioni del clima, un piccolo anticipo sul totale che ci aspetterebbe, sono sui nostri schermi un po’ troppo spesso, ultimamente. In Groenlandia, nell’agosto del 2015, in due giorni, in un colpo solo sono scomparsi circa 12 km quadrati di superficie del Jakobshawn Glacier, che nel 2012, aveva registrato un indietreggiamento di circa 17 km quadrati nell’arco di un anno. Le stime ci dicono che in meno di 20 anni è andato perso il 40% del ghiaccio Artico, e se i ghiacciai collassano, è facile pensare all’effetto sui livelli oceanici, il 25% dell’acqua del pianeta si trova lì, il che equivarrebbe ad un innalzamento degli oceani fino a 20 metri. Come se non bastasse questa visione apocalittica, l’effetto domino sarebbe dirompente. E’ notizia di questi giorni che in Uganda i ghiacciai del monte Rwenzori, sono scomparsi e gli effetti saranno catastrofici anche sull’economia del  Paese; l’Uganda è il maggiore produttore di caffè in Africa, e c’è il rischio concreto di incontrollabili inondazioni sulle piantagioni che si trovano alle pendici del monte. In questi giorni è in corso la 22° conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, capi di Stato e di Governo si confronteranno sugli obiettivi raggiunti o non, sulle tempistiche degli impegni presi e su un piano di molti miliardi di dollari per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze del cambiamento del clima. Rimettere in discussione l’obiettivo del Trattato di Parigi, che consiste nel contenere entro due gradi l’aumento delle temperature medie globali, come alcuni Paesi stanno tentando di fare, ad un grado e mezzo, è improponibile; già oggi, con neanche un grado di aumento, i danni sono sotto gli occhi di tutti. Recentemente è allo studio un progetto capace di produrre carburanti direttamente dal CO2 atmosferico con l’aiuto dell’energia rinnovabile, un processo che ricorda la fotosintesi naturale che sintetizza composti energetici dall’anidride carbonica dell’aria, per mezzo dell’energia del sole. I tentativi della ricerca sono molti e continui, ma al momento, gli elementi più concreti per un piano di azione  sono solo tre: sostituire le fonti fossili, sperperare meno energia e riforestare il pianeta, e c’è bisogno di attuarli con grande determinazione e fretta, per rimettere in asse il sistema climatico della Terra.

Groenlandia, Islanda, Francia, Svizzera, Canada, Nepal, Antartica ..  le riserve d’acqua più grandi del mondo, sono state registrate nel 2006 da un gruppo di geologi, scienziati, esploratori e climatologi, che hanno ripreso per mezz’ora al giorno per tutto l’anno, il movimento di una ventina di ghiacciai e il documentario, che testimonia crolli impressionanti in tempo reale, è girato nei cinema un paio di anni fa. Dovrebbe essere  proiettato in tutte le scuole, dalle elementari ai licei, e si dovrebbero introdurre come materia di studio, argomenti necessari a formare un’umanità più responsabile, attenta, cosciente del fatto che salvare e preservare il pianeta non è “solo” etico e doveroso nei confronti di tutti gli esseri viventi che lo abitano, non è “solo” salvare la bellezza che ci stupisce ogni volta che ci fermiamo un attimo a contemplare i capolavori della natura, ma necessario, senza se e senza ma, alla nostra stessa sopravvivenza.

 

MariaGrazia Pase

 

FABBRICHE

 

                                                                                                                               25 MARZO 2016

 

 

  • Industria per la produzione di alluminio a Mestre
  • Industria per la produzione di alluminio a Mestre
  • Industria per la produzione di alluminio a Mestre
  • Raro esempio di cementificio della fine dell’800 nel Nord Italia
  • Essicatoi in una  fabbrica di fibre sintetiche in funzione dagli anni ‘20 al 2003
  • Uffici amministrativi in un cotonificio
  • Industria per la produzione di biocombustibili.
  • Fabbrica di sanitari nel Nord Italia
  • Impianto elettrochimico in Centro Italia entrato in attività all’inizio del ‘900 e dismesso all’inizio degli anni ‘70
  • Industria tessile in Centro Italia
  • Industria tessile in Centro Italia
  • Torre di raffreddamento in Belgio
  • Stabilimento a Porto Marghera
  • Centrale termoelettrica in Germania
  • Fabbrica nel Verbano
  • Fabbrica nel Verbano
  • Spogliatoio in una miniera in Germania. I minatori mettevano i loro vestiti nei cestini, poi tramite una catena sollevavano i cestini fino al soffitto e assicuravano con un lucchetto la catena a dei blocchi.
  • Laminatoio di un’acciaieria


 

Fabbriche. Spesso le guardo dai finestrini dei treni, alle periferie delle città, e per quanto possa sembrare strano, le vecchie fabbriche si integrano perfettamente con il paesaggio, come se il tempo abbia cancellato la differenza tra distese verdi, cascine, fiumi, torrenti o montagne e abbia steso un mantello di poesia su quelle testimonianze silenziose e malinconiche. Sono fatalmente attratta da turbine, vecchie filande, reparti di stampaggio, di vulcanizzazione, rotative, e tutto ciò che la storia del lavoro operaio può raccontare attraverso vecchi capannoni lasciati ad una irriconoscente incuria, alcuni,veri gioielli di archeologia industriale, ed altri, più poveri, ma non meno pieni di storia e di storie, abbandonati a se stessi, fino al giorno in cui, inevitabilmente, verranno riconvertiti in moderni loft per amanti del genere, o abbattuti per lasciare posto alla modernità. Questo immenso patrimonio dell’umanità è da molti anni oggetto di studi per conservazione, restauro, e valorizzazione della ricchezza culturale, sociologica e antropologica che riassume almeno un secolo di storia del lavoro, tant’è che non si contano le pubblicazioni ad opera di docenti universitari in materia, associazioni per la tutela del patrimonio archeologico industriale, siti dedicati. Artisti contemporanei come Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Anselm Kiefer, hanno scelto strutture industriali dismesse per creare, esporre, viverci, per i grandi spazi che permettono alla creatività di allargarsi anche in termini di metri cubi, dove l’arte trova un suo ideale genius loci per l’elegante purezza intrinseca di luoghi dove il valore simbolico e formale si fondono. Realtà industriali un tempo protagoniste della storia economica, oggi sono tornate a nuova vita come fucine di creatività e sapere, elette a luoghi di cultura e co-protagoniste nella funzione produttiva e sociale. Tra queste, per esempio, la nuova sede milanese della Fondazione Prada all’interno della ex distilleria Società Italiana Spiriti, su progetto di Rem Koolhaas.

Ma il fascino delle fabbriche dismesse trascende dall’opera di recupero, anzi, l’abbandono aumenta lo stupore per la bellezza che trasmette l’eleganza dignitosa delle linee pulite ed essenziali, e questi mausolei del recente passato industriale attraggono gruppi di appassionati fotoamatori di tutto il mondo alla ricerca delle tracce, dell’anima.

Anna Tinti ama da sempre la fotografia, ma ha incominciato a dedicarsi agli edifici abbandonati da circa sei anni, e la ricchezza del suo portfolio prova la grande energia che mette in quello che non è un lavoro, ma una passione. Le ho fatto qualche domanda.

Cosa ti ha portato a fotografare i luoghi abbandonati?

Non so esattamente quando è nata questa passione, ho iniziato dai vecchi cascinali del Polesine e mano a mano mi sono resa conto che mi interessava il racconto di quello che resta, la testimonianza di un passato, di una vita, e la ricerca si è estesa ad ospedali, ospedali psichiatrici, alberghi, fabbriche.

Molte delle tue foto sono scattate all’estero, quali sono le tue fonti di ricerca ? Esiste una rete per lo scambio di informazioni tra appassionati del genere?

Il web aiuta molto, anche con Google maps a volte si riesce a localizzare un luogo partendo da alcuni elementi che possono fare rilevare la presenza di un edificio in abbandono, altre volte una notizia letta sul giornale, come per esempio un grosso furto di rame. Non esiste una rete per lo scambio di informazioni, un po’perché nasce una sorta di gelosia per i propri “ tesori” e soprattutto perchè  mettere in rete questo tipo di informazioni significherebbe esporre questi luoghi a writers, ladri e vandali.

Quindi vi muovete in “solitudine “ ?

Certo, si preferirebbe essere soli nel momento della ricerca dello scatto, ma muoversi autonomamente è qualcosa che va assolutamente evitato per ragioni di sicurezza. Intanto le strutture sono spesso pericolanti, infatti non esistono permessi, ovviamente, e in secondo luogo perchè si rischiano incontri spiacevoli con ladri o altro. Ci si organizza con un gruppo di persone che si conoscono e che poi diventano amici strada facendo, letteralmente, perché molto spesso queste ricerche portano fuori dal territorio nazionale. Germania, Belgio, Inghilterra, ultimamente molto anche nell’ Europa dell’est, e la preparazione del viaggio, lo studio delle tappe, il viaggio stesso, diventa una preziosa ed anche divertente esperienza umana.

Ecco. Passione e cuore. Come sempre inscindibili.

 

MariaGrazia Pase

 

FOTO DI  ANNA TINTI